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Questa scheda nasce , per ora, dall'interessamento del Comune che, dopo la mia richiesta di autorizzazione per la pubblicazione di quanto riportato sul sito Istituzionale dell'Istituto San Camillo, ha fornito gli estremi dell'Associazione locale "Centallo Viva" la quale, nel 2012, ha prodotto una pubblicazione: "FAR BENE E FAR DEL BENE -
Ovviamente ho contattato l'Associazione "Centallo Viva"
http://www.comune.centallo.cn.it/Home/Guida-
che si è subito resa disponibile all'invio del Volume (ormai in esaurimento); Centallo Viva nasce il 13 dicembre 1993 come associazione culturale che, principalmente, si propone di:
Valorizzare e recuperare la storia, le tradizioni e la cultura centallese;
Restaurare, tutelare e promuovere i beni artistici locali, perlopiù conservati negli edifici sacri
Attuare una promozione turistica del territorio attraverso l'organizzazione di manifestazioni e la creazione di “percorsi culturali”.
Il volume è un ricco concentrato di informazioni storiche di Assistenza, Beneficienza e solidarietà della comunità centallese che ben si inseriscono nella storia italiana.
Quindi un grazie ancora all’Associazione Centallo Viva per la fiducia concessami nel divulgare la loro storia.
La lunga storia dell'Istituto centallese, che prenderà il nome di ospedale San Camillo, iniziò molto indietro nel tempo, in pieno Seicento. Il primo testo a parlare di una struttura ospedaliera a Centallo risale al 1630 ed è un lascito benefico di 300 Lire destinato all'ospedale dei Battuti Bianchi. Per scoprire qualcosa di più riguardo l’antico ospedale occorre però ricorrere alla cronaca di una visita pastorale dell'arcivescovo di Torino Michele Beggiamo che si svolse dal 20 al 24 settembre 1664. In questo documento leggiamo che: Sua Eminenza il vescovo visita ospedale che ha una casa con 2 stanze di cui una è deputata a ricovero dei poveri e vi trovò due pagliericci. Le altre sono date per abitazione all'inserviente a detto ospedale e al Reverendo Cappellano della suddetta società di San Sebastiano e Giovanni, il rettore e i confratelli della quale società hanno l'amministrazione di detto ospedale.
Un atto del 1666 conservato nell'archivio parrocchiale centallese torna a dare notizie dell'ospedale e ci informa che l'edificio necessitava di riparazioni urgenti. Il mantenimento della struttura basata sulle proprietà agricole della Confraternita dei Battuti Bianchi: la visita pastorale del Vescovo Beggiamo spiega che detto ospedale possiede diversi beni stabili, i cui frutti o rendite consentono di spendere in alimenti e amministrazione. Per la precisione, le proprietà dell'ospedale erano circa 12 giornate di terreno agricolo, che venivano affittate in modo da fornire alla struttura una rendita annua di 120 lire. Pochi anni dopo si accenna che le stanze dell'ospedale degli Infermi sono ora diventate due: la struttura dispone quindi di 4 posti letto e della possibilità, in caso di estrema necessità, di aggiungere ulteriori due letti. Talvolta le stanze, oltre a ospitare i malati, potevano anche costituire semplicemente un riparo sicuro per i poveri: nella Centallo del 600 era impossibile separare l'attività medica dell'ospedale dagli interventi di carità a carattere sociale. La priorità, comunque, veniva data agli infermi ai quali era dedicata la struttura. La possibilità di fare anche carità ai numerosi poveri del paese derivavano perlopiù da generose donazioni testamentarie di privati che lasciavano i loro beni all'ospedale in cambio della celebrazione di una messa di Requiem ogni anno. Fondamentale, ad esempio, fu il lascito del commendatore Fiorenzo Zavatteri, che donò all'ospedale una somma di 80 lire e l'amministrazione di una tenuta in Regione Crosia e della sua Cascina Gallina. Il testamento del Nobile centellese, datato primo gennaio 1687, prevedeva che tali ricavi fossero destinati a vestire ogni anno 12 poveri con altrettanti abiti di panno grosso di colore biggio oscuro. La distribuzione degli abiti popolari avveniva simbolicamente in occasione della festa di San Martino, il Santo che, secondo la leggenda, aveva donato a un povero il suo mantello. Un'altra disposizione affidata da Zavatteri all'ospedale della confraternita dei Battuti Bianchi prevedeva inoltre che i proventi della cascina fossero anche destinati ad assegnare una dote matrimoniale di 50 lire a tre o quattro ragazze povere, dichiarando che non debbano essere ammesse quelle che avranno dote competente, e che siano preferite le figlie senza padre e senza madre a quelle che avranno ambi li genitori vivi, dovendo tal elemosina servire meramente in aggiunta di dote, con privilegio però della dote medesima come se fosse costituita dal padre o da altri dotanti.
Dopo il 600 a Centallo l'ospedale degli Infermi conobbe importanti cambiamenti: la struttura si trasferì presso l'attuale sede del San Camillo, sotto la spinta di una nuova istituzione pensata per portare aiuto ai poveri centallesi, ossia la Congregazione di Carità. L'idea generale risale direttamente a Re Vittorio Amedeo II di Savoia, che nel 1717 aveva ordinato di istituire un ente apposito in ogni città del Piemonte una Congregazione di Carità per porre un freno al grave problema sociale della miseria. Centallo si adeguò a questo editto creando questo Ente che si sarebbe dovuto occupare della lotta alla povertà e, in quanto tale, anche all'assistenza dei malati di umile provenienza. Nonostante l'esistenza dell'ospedale la Congregazione di Carità, si occupava perlopiù dell'assistenza dei malati del mondo dei poveri tramite l'intervento a domicilio. Come ci informa la curata tesi di laurea di Anna Amerio dedicata ai primi anni di vita della Congregazione, venivano comprati farmaci appositamente per gli infermi che non se li potevano permettere e, soltanto per i casi più difficili, veniva disposto un intervento di un medico pagato dall'Ente di beneficenza. Ancor più di prima è fortissimo il legame tra assistenza ai malati e lotta alla miseria: Se infatti una persona risultava gravemente malata, il medico poteva decidere di aumentare il sussidio di povertà per migliorare la sua alimentazione.
Ad esempio, secondo una notazione del libro degli ordinati troviamo quanto segue: l’uomo, gravemente malato, fu visitato dal medico chirurgo a domicilio e questi dispose un aumento a 5 libbre della razione di pane prevista dal sussidio. Il compito del medico poteva essere anche più impegnativo, e poteva richiedere un operazione: era il caso di tumori, dolori ossei o intervento tramite salasso: la spesa della Congregazione per medici e chirurghi, tuttavia, rimase sempre molto contenuta e ci testimonia come vi facesse ricorso solo in casi di reale difficoltà. Un ulteriore caso di malattia seguita dalla Congregazione era infine quello dei cosiddetti fatui, o matti: il fenomeno dei disturbi psichici era molto diffuso e i dottori del tempo attribuivano la demenza alla mancanza di igiene nell'aria e nell'acqua provocata anche dalla vicina palude boschiva dei Sagnassi ancora non bonificata. Spesso i parenti cercavano di farsi affidare la tutela di queste persone incapaci di intendere e di volere, soprattutto per interesse economico: ricevendo la tutela di un incapace, infatti, i parenti acquisivano anche il controllo del suo patrimonio. Per evitare eccessive ingiustizie e frodi di altro genere la Congregazione talora si occupava in prima persona della protezione e dell'assistenza di queste persone. I furbetti, dunque, non mancavano neppure a quell'epoca.
Ma quando nasce il moderno San Camillo? La svolta che fa crescere la struttura da piccolo riparo per anziani e malati a vero e proprio ospedale è legata ad una data ben precisa, 1769, e ha un nome: Giovanni Antonio Massimino, sacerdote e Abate centallese. Ancora una volta l'istituto centallese cresce e si rinnova grazie ad un lascito testamentario, stavolta di dimensioni davvero impressionanti. L’abate istituisce come suo erede universale l'ospedale degli Infermi di Centallo con obbligo per lo stesso di far procedere alla semplice descrizione, ossia all'inventario della sua eredità e successivamente di giungere alla vendita di tutti i mobili, argenteria, vestiario ed effetti domestici di qualunque tipo che si troveranno tanto nella presente città quanto nella cascina di campagna. Il risultato di questa vendita fu un tesoretto di circa 84 mila lire, somma di enorme rilevanza per l'epoca. Anche nel testamento dell'Abate Massimino possiamo osservare come la beneficenza e la carità fossero sempre attentamente rivolte ad uno scopo molto preciso e destinate a una realtà che i donatori dimostrarono di aver approfondito molto bene. Lo scopo, infatti era quello di fare attivamente del bene e di, per quanto possibile, guidare e dirigere in prima persona l'impiego del denaro donato. L'abate intende e vuole che con i redditi provenienti da detta eredità si debba, da parte dei signori direttori di detto ospedale, costruire dei membri di casa (appartamenti, stanze) che siano fatti tutti con soffitto e anzitutto un nuovo dormitorio per gli infermi continuativo del già fatto comprando la casa attigua a questo e dandole un arco di comunicazione. Si dispone che si debba fare al primo piano una bottega e retrobottega per la spezieria, una cucina grande al primo piano o al piano terra e inoltre che si debbano fare nel sito che si stimerà più opportuno tre camere per abitazione del cappellano, altre 3 per l'abitazione del farmacista e altre tre per l'abitazione del medico ospedaliere, con 4 cantine. Inoltre dispone che al piano terra vi debba essere una camera ove depositare i morti finché vengano trasportati alla sepoltura.
Entrando nell'ospedale San Camillo è possibile vedere nell'atrio delle lunghe liste di nomi incise in alcune lapidi poste sulle pareti: molti portano cognomi comuni, tipicamente locali, e le date vanno indietro nel tempo risalendo i secoli a ritroso. Si tratta della lunga schiera dei cosiddetti benefattori del San Camillo. L'istituto centallese, infatti, ha raggiunto le attuali dimensioni grazie ad una catena di solidarietà, lasciti e iniziative benefiche che nei vari secoli hanno permesso all'ospedale di crescere e di adeguarsi ai tempi, dedicandosi più direttamente ai malati via via che il fenomeno della povertà si ridimensionava e successivamente ancora, in maniera sempre più esclusiva, all’assistenza degli anziani fino a divenire esclusivamente una casa di riposo.
Non si può non riportare un'esperienza sicuramente rara che non ho riscontrato in altre realtà e più precisamente l'istituzione di un laboratorio tessile all'ospedale per insegnare un lavoro ai poveri. Procurar travaglio, ossia insegnare ai poveri un lavoro concreto, è la miglior forma di carità possibile. Così potrebbe essere riassunta la brillante intuizione del medico centallese Giuseppe Duelli, fondatore dell'Opera Pia che portava il suo nome e che si occupava proprio di dare un futuro ai senzatetto non mediante la tradizionale elemosina ma preparandoli per il mondo del lavoro. Meno conosciuta dell’esperienza di Duelli, anche all'Ospedale San Camillo nacque verso la fine del Settecento una realtà simile, interessante perché davvero insolita e rivoluzionaria per la mentalità dei tempo: il laboratorio Tessile dell'Istituto.
Risalgono al 1790 le patenti di autorizzazione di Re Vittorio Amedeo di Savoia che permisero la nascita della Bottega Artigiana. La logica dei direttori del San Camillo, al tempo ancora Ospedale degli Infermi, è simile a quella del medico Duelli e viene chiaramente spiegata dalla stessa autorizzazione del Re: la Congregazione dell' Ospizio di carità la quale trovasi pur anche amministratrice dell'ospedale degli Infermi eretto nel luogo di Centallo, avendo disegnato di stabilire nella struttura dell'ospedale stesso una qualche manifattura atta a somministrare del lavoro a una quantità di poveri in necessità. I senzatetto centallesi, venivano ospitati dall'opera Pia Duelli e dal San Camillo e, al tempo stesso, lavoravano come operai contribuendo al mantenimento economico delle strutture e soprattutto imparando un'attività professionale artigiana con cui in futuro avrebbero potuto mantenersi da soli. L'esperienza, tuttavia, non proseguì a lungo come sperato; nel volume, troverete anche le motivazioni.
Per gli amanti di Architettura vengono inoltre riportate le indicazioni per le ristrutturazioni del 1781; nelle stesse si trovano anche le tracce delle prime disposizioni in tema, diremmo oggi, di prevenzione nei cantieri edili.
Gli ultimi interventi strutturali sono stati fatti negli anni 70 e 90